COME NASCE UNA SPECIE - L'INGEGNERIA GENETICA - BIOTECNOLOGIE: PRO O CONTRO? - ELETTROFORESI E CROMATOGRAFIA - RESISTENZA AGLI ANTIBIOTICI - L'ISOLAMENTO BIOLOGICO - SPECIE E RAZZA Coronavirus Covid-19.ITINERARI - LE ORIGINI - BIOLOGIA - LA GENETICACOME NASCE UNA SPECIECon la scoperta dei geni e della loro localizzazione nei cromosomi, si presentavano molti nuovi problemi. Uno di questi riguardava il modo in cui si verificano le mutazioni. Già molto tempo prima che i geni fossero individuati si sapeva che nella discendenza di determinati individui potevano presentarsi elementi completamente diversi da quelli dei progenitori. Che un individuo di una data progenie possegga caratteristiche diverse dai genitori può essere dovuto al fatto che in esso si sono incontrati dei caratteri recessivi. Così un padre e una madre con capelli neri, ma con gene recessivo per i capelli biondi, possono avere un bambino con i capelli biondi. La riserva dei caratteri recessivi, cioè dei geni che per un certo tempo possono non comparire nei discendenti, costituisce la variabilità degli individui, la ragione per cui esseri della stessa specie e della stessa razza non sono mai eguali fra loro, salvo forse i gemelli omozigoti. La variabilità è immensa se si tiene presente che ogni individuo possiede centinaia di migliaia di geni che combinati fra loro determinano il suo tipo fisico; il colore dei capelli, il colore degli occhi e della pelle, la forma del viso, delle orecchie e tutti gli altri particolari sono dominati contemporaneamente da intere squadre di geni che funzionano in accordo fra loro e possono combinarsi per dare modificazioni più o meno visibili. Le mutazioni sono cambiamenti nel patrimonio di geni di un determinato individuo. Una mutazione può produrre in una cellula solo effetti limitati oppure così deleteri da provocarne la morte (mutazione letale). In un organismo pluricellulare una mutazione può influenzare le generazioni successive se interessa le cellule sessuali: uovo e spermatozoo. In questo caso l'alterazione viene tramandata durante la riproduzione. A livello molecolare la mutazione si identifica con un cambiamento della struttura del DNA per cui al momento della duplicazione la nuova molecola che si forma non è più la copia esatta di tutte quelle che l'hanno preceduta e funziona quindi in maniera diversa. Alcune mutazioni possono rappresentare un miglioramento in certi determinati caratteri, ma più spesso danno origine a caratteri deteriori. Una mutazione è un avvenimento piuttosto raro, che può avvenire casualmente e spontaneamente, ma può essere provocata artificialmente per mezzo di trattamenti particolari con sostanze chimiche, temperatura elevata, radiazioni. Le mutazioni spontanee possono rimanere sconosciute fino a che non si verifichino nell'ambiente condizioni adatte a rivelarle. Un caso tipico è quello delle mosche resistenti al DDT. Quando questo insetticida fu usato per la prima volta, sembrava che fosse riuscito ad annientare le mosche, ma dopo qualche anno comparve nell'ambiente una stirpe di mosche resistenti al DDT. La spiegazione di questo fenomeno consiste nel fatto che fra le mosche erano presenti degli individui che possedevano una mutazione per la resistenza all'insetticida. Finché il DDT non era stato usato, tutte le mosche erano in grado di sopravvivere egualmente bene, ma appena si sono verificate le condizioni sfavorevoli (uso del DDT) le sole mosche resistenti sono sopravvissute e la loro progenie resistente ha completamente rimpiazzato le mosche sensibili al DDT, diventando la popolazione dominante. Nello stesso modo si può spiegare la resistenza dei batteri a certi antibiotici, come per esempio la penicillina, che al suo primo apparire sembrò il toccasana di tutte le infezioni, mentre attualmente è molto difficile trovare dei germi che siano ancora sensibili a questo antibiotico. Come si formarono le diverse specie nel corso dell'evoluzione? Le spiegazioni sono molte e complesse. Una di esse sta nell'isolamento in cui certe popolazioni vennero a trovarsi per varie cause. Se diversi gruppi di individui hanno la possibilità di vivere insieme, o almeno di avere contatti, i maschi e le femmine si accoppiano fra loro e in questo modo i geni si mescolano, cosicché i vari caratteri compaiono diffusi fra tutti gli individui della specie. Se invece a causa di mutamenti nell'ambiente una popolazione rimane isolata dalle altre della medesima specie, le mutazioni avvengono solo al suo interno e si diffondono solo fra i discendenti degli individui che formano quella popolazione. Se l'isolamento dura per parecchie generazioni, alla fine la popolazione sarà notevolmente cambiata in alcuni aspetti fondamentali; può accadere che anche se individui di questa popolazione tornano ad avere contatto con individui di altre popolazioni appartenenti in origine alla stessa specie, non ci sia accoppiamento o che nascano nuovi individui (ibridi, nati da individui appartenenti a specie diverse) che però sono sterili, cioè non possono aver figli. Qualcosa del genere è successo ai cavalli e agli asini. Hanno aspetto assai simile, ma se si accoppia un cavallo con un'asina nasce un ibrido il bardotto e se si accoppia un asino con una cavalla nasce un mulo, due animali assai robusti, ma sterili. Un mulo non nasce mai da un mulo né un bardotto da un altro bardotto, ma sempre da cavalli e asini. Muli e bardotti non possono avere figli. Nell'ambito della stessa specie possono distinguersi varie razze, ognuna delle quali ha caratteristiche ben precise, che gli allevatori custodiscono gelosamente accoppiando fra loro sempre individui della stessa razza, cani lupi con cani lupi, barboni con barboni e così via. Ma ovviamente cani appartenenti a razze diverse possono accoppiarsi e avere figli (i bastardi) in cui i caratteri dei due genitori sono mescolati e spesso irriconoscibili.L'INGEGNERIA GENETICAPer secoli l'uomo ha tentato di migliorare la resa di molte specie vegetali e di modificare le caratteristiche degli animali utilizzando degli incroci. Questa tecnica tuttavia ha dato risultati variabili fino a quando non è stato possibile applicare i principi scientifici della genetica: ottenimento di linee pure, induzione di mutazioni, esperimenti di ricombinazione. In questo modo si è cercato di individuare e propagare caratteristiche favorevoli ottenendo nuove specie che sono il risultato degli incroci e della selezione dei caratteri prescelti in individui diversi di una stessa specie o di specie affini. L'ingegneria genetica o meglio le tecniche del DNA ricombinante, potrà probabilmente intervenire in quest'ambito, in maniera significativa consentendo di introdurre determinate sequenze di geni in cellule che poi esprimano i caratteri corrispondenti. Dopo gli esperimenti di Griffith che avevano sancito l'esistenza della trasformazione negli pneumococchi, altri due fenomeni di trasferimento di geni sono stati messi in evidenza: la trasduzione e la coniugazione. Ciò è stato possibile studiando i batteri e in particolare l'Escherichia coli, un normale abitatore dell'intestino dell'uomo e degli animali, che può essere facilmente usato nei laboratori e si riproduce facilmente. La trasduzione è un fenomeno strettamente legato alla natura dei virus batterici e al loro modo di riprodursi. Come si è già detto i virus si riproducono a spese delle cellule viventi siano esse batteriche, animali o vegetali, introducendo in esse il proprio genoma e sfruttandone le capacità metaboliche per la costruzione di altre numerosissime particelle identiche. La peculiarità che consente ai virus di trasferire geni provenienti da una cellula in altre cellule, sta nel fatto che a partire dall'informazione virale, nella cellula infetta vengono sintetizzati separatamente i nuovi cromosomi e i gusci proteici che li rivestiranno: la ricostruzione delle particelle avviene a caso ed è possibile che alcuni gusci incamerino, invece del proprio cromosoma, frammenti di DNA cellulare formando così degli pseudovirus. Queste particelle sono morfologicamente e funzionalmente eguali ai veri e propri virus e possono infettare altre cellule in cui introdurranno il frammento di DNA della cellula originale. I notevoli limiti di questo sistema di trasferimento di geni sono le dimensioni del virus, che può contenere solo pezzetti di DNA non più lunghi del cromosoma virale, (1/100 del cromosoma batterico) e il fatto che i virus infettano solamente le cellule che riconoscono per mezzo dei loro recettori. Gli scambi perciò possono avvenire solo fra batteri appartenenti a specie molto vicine fra loro. Il termine coniugazione non deve trarre in inganno, perché nei batteri non esiste una vera e propria sessualità: le cellule sono aploidi, si riproducono per scissione semplice e non vi sono fenomeni riproduttivi che avvengono ad ogni generazione. Più semplicemente alcune cellule di una popolazione, che vengono definite maschili, possono trasferire una parte del loro DNA a cellule che vengono definite femminili, con le quali vengono casualmente in contatto. Non esiste meiosi né fusione dei gameti: la cellula ricombinante, che risulta da questo incrocio, è in pratica la cellula femminile che ha integrato nel suo cromosoma una parte più o meno consistente del DNA della cellula donatrice. Il contatto fra cellula maschile e femminile avviene per mezzo di un'appendice cava, detta pilo sessuale, che si trova sulla superficie della cellula maschile ed è codificata da un elemento genetico, detto fattore F o della fertilità. Questo pilo funziona da tramite fra le due cellule e viene percorso dal DNA durante il trasferimento. La quantità di DNA che la cellula femminile riceve è in gran parte condizionata dalla stabilità di questo ponte: se il contatto reggesse per cento minuti, l'intero cromosoma del donatore potrebbe passare nel ricevente. Nei fatti questo avviene assai raramente, perché le cellule in un terreno liquido sono in continuo movimento e i contatti si interrompono molto precocemente. Il fattore F appartiene ad una categoria di elementi genetici chiamati plasmidi, divenuti famosi per una serie di interessanti caratteristiche. Si tratta di piccoli cromosomi soprannumerari che esistono nelle cellule batteriche indipendentemente dal cromosoma da cui sono fisicamente separati. Caratteristica fondamentale del fattore F è la sua mobilità: gran parte delle informazioni contenute nel suo DNA corrispondono alla struttura del pilo e alla proprietà di replicarsi senza sottostare al controllo del cromosoma. Le cellule che possiedono un fattore F in questa condizione sono dette F+ e se alcune di esse vengono mescolate ad una popolazione di cellule F-, in pochi minuti tutte queste si trasformano in F +. Caratteristica di F è anche quella di entrare a far parte del cromosoma della cellula che lo ospita che in questo caso viene detta Hfr, dall'espressione inglese high frequency of ricombination, ossia «alta frequenza di ricombinazione». Il cromosoma che ospita F mantiene il suo ritmo di replica, ma acquista la mobilità di F, perciò può trasferirsi in una cellula F- purché si mantenga il tramite costituito dal pilo che, come si è detto, non è molto duraturo. È chiaro perciò che in una popolazione di cellule F- si troveranno più frequentemente trasferiti i caratteri corrispondenti ai geni che, sul cromosoma del donatore, si trovano vicini al punto in cui F si è inserito e da cui inizia il trasferimento. Il materiale genetico dei batteri, che nella riproduzione varia molto raramente, è in realtà reso plastico dalla presenza sul cromosoma e sui plasmidi di alcune sequenze di basi, dette sequenze di inserzione, che permettono ai geni di inserirsi e disinserirsi con una certa facilità, senza sottostare al controllo generale della ricombinazione assicurando una mobilità intracellulare di certi caratteri. Così un gene può passare da un cromosoma cellulare su un plasmide e per mezzo di questo fuoriuscire dalla cellula originale ed entrare a far parte di una popolazione più ampia. Perciò i plasmidi sono considerati vettori ideali di caratteri e sono diventati gli strumenti essenziali delle tecniche di ingegneria genetica. Al centro di questi esperimenti sta la possibilità di isolare un frammento di DNA che contenga determinati geni. Utilizzando enzimi che tagliano le catene di DNA ed altri che possono ricucirle, il frammento così ottenuto viene inserito in un plasmide che introdotto in un batterio, si replicherà normalmente. Il prodotto del DNA estraneo verrà così sintetizzato dal batterio. Uno degli obiettivi dell'ingegneria genetica è di semplificare la produzione di sostanze molto peculiari, come per esempio gli ormoni, ottenendoli in grande quantità dalle cellule batteriche o dai miceti, invece che estrarli da ormoni di animali o umani.BIOTECNOLOGIE: PRO O CONTRO?Alla fine del secondo millennio, i progressi registrati nel campo delle biotecnologie diventarono oggetto di acceso dibattito scientifico, arrivando a coinvolgere l'opinione pubblica su scala internazionale. Le biotecnologie hanno origini remote; come denota la parola stessa, con questo termine si indica l'insieme delle tecniche che utilizzano un fenomeno biologico. Birra, aceto, vino e yogurt possono a tutti gli effetti considerarsi prodotti biotecnologici, in quanto nascono dalla combinazione di particolari microrganismi esistenti in natura tramite procedure artificiali. Il 1973 segnò una svolta fondamentale nel campo delle biotecnologie: due biologi americani, Stanley Cohen e Herbert Boyer, scoprirono gli enzimi di restrizione, una specie di forbici naturali in grado di "tagliare" il DNA in particolari punti. Grazie a questa scoperta si individuarono dei processi molecolari atti a modificare il corredo cromosomico di un organismo, sostituendo o aggiungendo nuovo materiale genetico proveniente da specie diverse. Con questo procedimento, meglio noto come tecnica del DNA ricombinante, vennero creati nuovi individui che furono definiti "transgenici" o "organismi geneticamente modificati (OGM)". Le possibili applicazioni in campo commerciale di tale scoperta la resero particolarmente appetibile alle industrie agroalimentari, che cominciarono a destinare notevoli fondi per la ricerca in questo settore. I prodotti transgenici risultarono infatti molto più redditizi e nei maggiori Paesi industrializzati si assistette a un incremento di coltivazioni geneticamente modificate. L'immissione sul mercato di OGM senza un adeguato controllo preventivo e la richiesta da parte delle maggiori multinazionali di brevettare tali organismi o tali tecniche crearono però negli anni seguenti una crescente preoccupazione nell'opinione pubblica per le conseguenze ambientali, sanitarie e sociali derivanti da un'incontrollata diffusione di tali prodotti e per gli interrogativi di natura etica che tali manipolazioni suscitavano. Se dal punto di vista teorico la produzione di OGM sembrò poter fornire la soluzione al pressante problema della fame nel mondo, dal punto di vista concreto risultò abbastanza chiaro che il bilancio costi-benefici non andava a favore della collettività mondiale ma solo a favore dei Paesi ricchi, che potevano trarre notevoli guadagni da tale attività produttiva. Questo argomento fu lo spunto di numerosissimi dibattiti di carattere politico e civile. Infatti, la possibilità di utilizzare al meglio le risorse biologiche di cui è ricchissimo il Sud del mondo risulta inversamente proporzionale alla legittima aspirazione al benessere delle popolazioni più povere. Dove la varietà genetica è enorme, manca però la tecnologia per utilizzarla e chi dispone della tecnologia ha attitudini, obiettivi e politiche di guadagno di corto respiro che creano profondi squilibri ambientali, economici e sociali. Le esperienze negative vissute negli anni Sessanta e Settanta con le industrie chimiche e con il nucleare, con i relativi ingenti danni all'ecosistema, fanno sì che oggi l'opinione pubblica guardi con attenzione e sospetto alle facili semplificazioni riguardanti queste nuove tecnologie che possono incidere in maniera determinante sugli equilibri ambientali e sulla salute umana. I progressi delle biotecnologie, nonostante il forte condizionamento degli interessi economici privati, non possono sottrarsi a un'analisi scientifica attenta e obiettiva in grado di valutarne l'effettiva pericolosità, onde evitare che si rivelino nel tempo un'arma a doppio taglio per il futuro dell'umanità. In occasione del vertice internazionale di Montreal, tenutosi nel 1999, il diritto all'informazione, la difesa dell'ambiente e la tutela della biodiversità riuscirono a imporsi sulla logica del libero commercio, ottenendo una maggiore attenzione da parte degli operatori commerciali sulle problematiche legate alla sicurezza alimentare, alla tutela ambientale e alla salute delle persone. Al termine della conferenza, i 130 Governi partecipanti chiesero la piena applicazione del principio precauzionale, che si concretizzava, tra l'altro, nel divieto al rilascio incontrollato nell'ambiente di organismi geneticamente modificati sino a quando fossero state studiate approfonditamente le interazioni ecologiche e adeguate misure di salvaguardia. Numerose organizzazioni non governative si fanno oggi portavoce di una battaglia sociale, richiedendo che i risultati delle ricerche in ambito genetico rimangano un bene pubblico usufruibile da tutti e che non diventino monopolio esclusivo di pochi. Risulta sempre più evidente che i cambiamenti derivanti dai progressi dell'ingegneria genetica, se non regolamentati, rischiano di rivoluzionare il mondo non solo per quel che riguarda i meccanismi che regolano le leggi di mercato, ma anche in rapporto agli stessi principi etici e ai diritti fondamentali di tutta l'umanità. Un altro argomento "caldo" nel dibattito tra sostenitori e oppositori delle biotecnologie è rappresentato dalla clonazione, fenomeno che avviene in natura per alcuni microrganismi e per alcune piante, che permette di produrre dei cloni, ovvero nuovi individui, cellule o geni, aventi identico corredo cromosomico. La clonazione naturale non avviene mai negli animali, in particolar modo nei vertebrati. Per questo motivo, quando nel febbraio 1997 due ricercatori dell'istituto di biotecnologie Roslin di Edimburgo, Ian Wilmut e Keith Campbell, annunciarono di aver ottenuto il primo clone di un mammifero, una pecora battezzata Dolly, si scatenò una rovente polemica che non mancò di avere forti ripercussioni in ambito politico. Per ottenere Dolly, i ricercatori scozzesi prelevarono alcune cellule dalla ghiandola mammaria di una pecora asportandone il nucleo, che venne immesso nella cellula uovo (ovocita) di un'altra pecora, a sua volta impiantata in una pecora portatrice. L'embrione derivato da tale procedimento diede origine a un nuovo individuo con il medesimo patrimonio genetico della pecora "donatrice". L'esperimento di Wilmut e Campbell si aggiunge alla serie di sperimentazioni sulla clonazione animale già portate a termine precedentemente: negli anni Cinquanta, gli americani Briggs e King e successivamente, nel 1967, l'inglese John Gurden, erano già riusciti a impiantare il nucleo di una cellula dell'intestino di una rana in una cellula ovulo di un anfibio della stessa specie. Di fatto, però, l'esperimento dei due ricercatori scozzesi ebbe tutt'altra valenza, in quanto per la prima volta venne clonato un mammifero, animale molto vicino all'uomo nella catena evolutiva. Ad esso si aggiunsero, negli anni seguenti esperimenti simili: sei mesi dopo Dolly nacque Gene, il primo clone di vitello; nel 1998 vide la luce tramite clonazione il topo Cumulino; nell'autunno del 1999 fu clonato il primo toro, chiamato Galileo; nel 2000, infine, vennero clonati una scimmia, denominata Tetra, e cinque maialini. La nascita di Dolly scatenò immediatamente una bufera di preoccupazioni etiche e religiose, ma anche considerazioni di carattere economico e politico. La clonazione degli animali risultò infatti molto interessante dal punto di vista commerciale perché, a differenza della riproduzione sessuale, permetteva di trasmettere con certezza ai nuovi individui i caratteri ottenuti attraverso il processo complesso e laborioso della manipolazione genetica. Una volta creata, per esempio, una pecora con una lana più folta e bella (quindi economicamente interessante perché maggiormente redditizia), grazie alla clonazione si possono ottenere facilmente altre pecore con lana folta e bella. Oggigiorno, se, da un lato, la prospettiva di ingenti guadagni spinge le maggiori industrie del settore a sostenere la clonazione come tecnica di riproduzione artificiale negli allevamenti, dall'altro le principali organizzazioni ambientaliste si oppongono fermamente sostenendo che modificare l'informazione genetica degli animali ai fini di lucro risponde a una logica commerciale aberrante che considera gli animali esclusivamente delle macchine per la produzione di carne, latte, pelle e lana, ad esclusivo beneficio dell'uomo. La preoccupazione maggiore dell'opinione pubblica riguarda però il rischio che tale tecnica riproduttiva, venendo estesa all'uomo, possa diventare tremendo strumento di selezione della razza umana. A tale proposito, negli anni scesero in campo anche le comunità religiose che, appellandosi ai principi etici, contrastarono duramente la tecnica della clonazione. Le polemiche culminarono in una decisione del G7 che, in una riunione tenutasi a Denver nel luglio 1997, vietò qualsiasi esperimento di clonazione umana. Se la clonazione a scopo riproduttivo è stata vietata in modo pressoché unanime dai Parlamenti nazionali, la clonazione di cellule umane per la terapia di malattie ereditarie o per la creazione di organi da trapiantare, insieme ad altre applicazioni di carattere medico, riceve invece un supporto maggiore, specie nella comunità scientifica. L'utilizzo di cellule umane clonate per sostituire cellule malate di un paziente potrebbe rappresentare una valida alternativa ai trapianti d'organo di persone decedute, e la ricerca in questo ambito viene incentivata, tenendo in considerazione l'obiettivo finale, ovvero la salvezza di numerose vite umane. A questo proposito, nell'agosto 2000, una commissione scientifica, nominata dal Governo inglese e presieduta da L. Donaldson, espresse parere favorevole alla clonazione di embrioni umani per creare organi di ricambio e, qualche settimana più tardi, gli Stati Uniti autorizzarono la ricerca su embrioni umani per la cura di malattie gravi. Alla fine dello stesso anno, anche in Italia venne istituito un comitato scientifico, guidato dal premio Nobel Renato Dulbecco, per la ricerca sulle cellule staminali umane al fine di sperimentare la clonazione di tessuti da usare a scopo terapeutico. Nel novembre 2001 un gruppo di scienziati statunitensi annunciò la creazione di un embrione umano clonato a scopi terapeutici: l'annuncio creò sconcerto e perplessità sia in ambiente scientifico, sia in ambito politico e sociale.ELETTROFORESI E CROMATOGRAFIASono entrambe tecniche che vengono utilizzate per separare molecole di una miscela. L'elettroforesi sfrutta il fatto che le sostanze possono essere separate in base a dimensioni a carica elettronica. Un campo elettrico può essere applicato ad una carta da filtro o ad uno strato di gel, inumidito con una appropriata soluzione salina. I componenti di una miscela migreranno attraverso il setaccio molecolare del gel o della carta a velocità diverse a seconda della carica, della forma e della dimensione delle loro molecole. Usando per controllo sostanze con un comportamento noto si possono determinare pesi molecolari. Un sistema analogo è la cromatografia che si basa sulla diversa solubilità dei composti chimici in solventi polari e non polari. La più semplice tecnica cromatografica viene eseguita su carta da filtro in ambiente umido. Un'estremità della carta è immersa nel solvente non polare e a questa estremità viene depositato il campione. Il solvente spostandosi lungo la carta trasporta i diversi componenti del campione che alla fine avranno sulla carta una posizione proporzionale alla loro polarità (più una sostanza è polare minore è il tempo trascorso nel solvente e più la distanza dall'origine). Una combinazione di questi sistemi di analisi è rappresentata dal fingerprint (impronta digitale), che unisce entrambe le tecniche sopra descritte. È un metodo che permette di scoprire differenze molto fini, ad esempio anche un singolo aminoacido, fra proteine.RESISTENZA AGLI ANTIBIOTICIL'introduzione in uso dei chemioterapici (sulfamidici e antibiotici) ha avuto il suo vero evento iniziale nella scoperta da parte del biologo tedesco Paul Ehrlich (1854-1915) nel 1910 di una sostanza, il Salvarsan, attiva contro i germi della sifilide. Negli anni successivi sono state messe a punto le molecole dei sulfamidici e nel 1929 la scoperta della penicillina ha dato il via ad una vera e propria rivoluzione del decorso e degli esiti delle malattie infettive causate da batteri. Da allora la ricerca di nuove molecole antibiotiche e la loro utilizzazione in terapia non si è mai arrestata. Quasi contemporaneamente all'inizio dell'uso degli antibiotici si cominciò ad osservare un comportamento dei batteri che dapprima sporadico ha assunto via via una preoccupante estensione: i batteri erano in grado di resistere e quindi di sopravvivere alla presenza degli antibiotici nell'ambiente. Le conoscenze della genetica batterica hanno ormai chiarito le basi di questo fenomeno e, almeno in parte, hanno indirizzato la ricerca di sostanze capaci di superare la resistenza dei batteri: si tratta però di una battaglia ancora in corso.L'ISOLAMENTO BIOLOGICOTra i fattori più importanti che sono stati proposti per spiegare come può aver avuto origine nel corso dell'evoluzione, una nuova specie hanno avuto molto successo quelli relativi all'isolamento delle popolazioni animali e vegetali. Nell'isolamento completo una popolazione può seguire in maniera nuova ed indipendente un corso evolutivo. Da un punto di vista biologico l'isolamento è soprattutto isolamento sessuale. Ma in che modo popolazioni simili non vengono più in contatto? Perché a un certo momento della sua storia naturale all'interno di una popolazione si erigono delle barriere sessuali che nel corso delle generazioni divengono barriere di sterilità? Questi sono tra i più importanti problemi che si pongono a chi studia la suddivisione delle popolazioni e la loro distribuzione geografica sul nostro pianeta. Partendo dalla constatazione che, all'interno di un areale di una specie gruppi più o meno numerosi possono non venire più in contatto fra loro e possono subire delle trasformazioni genetiche e somatiche tali da venir distinti in gruppi sistematici diversi (razze geografiche ed anche sottospecie) si può passare a studiare che tipo di barriere si sono interposte. La prima e più semplice osservazione è che certe popolazioni sono insediate in regioni separate da confini fisici che non sono superabili con i normali mezzi di locomozione a disposizione della specie. Queste barriere geografiche possono essere rappresentate da catene montuose, fiumi, bracci di mare, ecc. Come tutte le spiegazioni geografiche, non è molto convincente. Le barriere geografiche variano col tempo (in tempi geologici, ma anche in periodi più brevi) e soprattutto non costituiscono sempre ostacoli alla circolazione degli esseri viventi rispetto al loro modo di muoversi. Il Rio delle Amazzoni costituisce un confine per molte sottospecie e razze geografiche di uccelli che vivono su di una delle due sponde e che pure sarebbero tranquillamente in grado di sorvolare questo confine di acque dolci. Vi sono catene di montagne invalicabili per talune specie di insetti e piccoli mammiferi ed altre che invece ne facilitano l'espansione. Un'isola oceanica costituisce tuttavia un esempio di isolamento biologico abbastanza completo per tutte quelle forme viventi che non sopportano neppure per breve tempo la vita nell'acqua salata. In molti casi l'isolamento biologico non coincide con l'isolamento spaziale, geografico in senso lato. Vi sono varietà geografiche che vivono a contatto o completamente circondate da altre varietà della stessa specie in regioni morfologiche abbastanza uniformi. In questo caso la separazione tra le popolazioni di una stessa specie potrebbe essere dovuta a ragioni puramente fisiologiche: ad esempio una delle razze geografiche raggiunge la maturità sessuale in una stagione diversa rispetto all'altra e non è possibile l'interfecondità a volte per poche settimane di differenza. Si possono verificare anche casi di isolamento ecologico. Ad esempio una specie parassita, specializzata per quanto riguarda la sua nutrizione e legata attraverso questa esigenza ad un ospite ben preciso, trova una fonte di energia analoga in un ospito diverso (l'ospite in questi casi è anche l'ambiente per il parassita) o addirittura in parti diverse della stessa pianta o dello stesso animale e così la popolazione si divide in due e a poco a poco queste due parti si isolano anche sessualmente dando origine ad una nuova sottospecie o varietà geografica. È il caso ad esempio del pidocchio umano di cui esistono due varietà, una che vive esclusivamente sulla testa ed un'altra specializzata per annidarsi nei vestiti. Le barriere di sterilità molto facilmente derivano dalla conformazione degli organi sessuali e dalla difficoltà che può incontrare lo sperma nel raggiungere e fecondare la cellula uovo. Agli ambienti insulari sono legati fenomeni molto importanti nel processo della formazione di specie, come ad esempio gli endemismi, termine con cui si indicano razze o specie circoscritte ad un ambiente limitato. Una caratteristica legata all'isolamento biologico, quindi al fenomeno generale dell'isolamento sessuale di una popolazione, è il nanismo che si è riscontrato come caratteristica in alcune razze insulari. Un esempio abbastanza noto è quello del cavallino sardo. L'isolamento biologico comporta anche aspetti che interessano gli atteggiamenti innati di certe specie nei rapporti tra specie diverse. Una popolazione che viva isolata da popolazioni di suoi competitori o di predatori perde lentamente le reazioni di difesa nei confronti di predatori, che non vengono più riconosciuti. Esempi singolari di queste condizioni di isolamento sono il falco della Galapagos, che pur essendo un predatore carnivoro rimane imperturbabile nei confronti dell'uomo (che potenzialmente è un suo avversario) per cui è abbastanza facile avvicinarsi a questa specie di uccelli e toccarli. Egualmente, nello stesso arcipelago, i famosi iguana, che sulla terra ferma non devono affrontare nessuna altra specie potenzialmente avversaria, rimangono completamente indifferenti alla presenza dell'uomo tra di loro; mentre in mare, dove sono attaccati dai pescecani, fuggono anche l'uomo che nuota e che identificano con un nemico.SPECIE E RAZZAIl pioppo, un albero molto diffuso nei nostri climi con la sua sagoma slanciata, le sue foglioline tondeggianti, è per i botanici una specie ben definita: Populus nigra. Se si va in America e si chiede che ci venga mostrato un pioppo, ci viene indicata una pianta molto diversa da quella del Vecchio Mondo: diverse le foglie, diverso il portamento del fusto, diversi tanti altri piccoli caratteri esterni. Eppure non è stato commesso nessun errore di classificazione; anche quell'albero appartiene alla specie Populus nigra. La prova più sicura è questa: che il pioppo americano e il pioppo europeo possono fecondarsi tra loro e dare vita ad altri pioppi che a loro volta sono fecondi. Un cane di S. Bernardo, un cane pechinese, un molosso sono tutti cani e possono incrociarsi fra loro; un gatto siamese, uno d'Angora, un soriano sono sempre gatti e possono avere dei figli accoppiandosi indipendentemente dalla razza a cui appartengono e dalle differenze spesso notevoli nell'aspetto esterno. Così avviene nella specie Homo sapiens: vi sono individui alti, biondi, con la pelle chiara, e individui bassi, neri di capelli, con la pelle scura, e altre grandi differenze si riscontrano in intere popolazioni rispetto ad altre popolazioni. Sono differenze che si sogliono chiamare razziali. Ma tutti gli individui della specie umana sono interfecondi: da un uomo e da una donna possono nascere dei bambini qualunque siano le caratteristiche fisiche esteriori di quell'uomo e di quella donna. Gruppi e popolazioni di uomini nel corso dell'evoluzione si trovarono a vivere in ambienti diversi; ogni gruppo si adattò e fu selezionato in relazione alle condizioni ambientali (clima, possibilità e tipo di alimentazione etc.) acquistando caratteristiche diverse rispetto agli altri gruppi. Se l'isolamento fra queste popolazioni fu completo, come avvenne in molti casi, non ci furono scambi di caratteri genetici fra individui appartenenti a popolazioni isolate una dall'altra. Così i caratteri non poterono mescolarsi, i matrimoni avvennero sempre all'interno di un medesimo gruppo e la discendenza acquistò sempre le medesime caratteristiche, che alla fine si stabilirono e divennero comuni a tutto il gruppo o a tutta la popolazione, cioè divennero caratteristiche razziali. Le differenze razziali all'interno della nostra specie sono moltissime; gli studiosi che cercarono di individuare e descrivere le razze hanno incontrato molte difficoltà. Basti pensare che il medico naturalista tedesco Johann Friedrich Blumenblach nel 1775 classificava l'umanità in cinque razze, l'antropologo francese Joseph Deniker nel 1900 ne distingueva 30 e il geografo etnologo italiano Renato Biasutti nel 1942 ben 52. Perché gli antropologi incontrarono tante difficoltà? Teoricamente si potrebbe affermare che se in un gruppo di individui è presente un particolare gene che determina un carattere diverso dal carattere degli altri individui, quel gruppo forma una razza. Ma nella cellula umana vi sono parecchie migliaia di geni, e ciascuno di questi geni può andare soggetto a mutazioni. Ogni individuo potrebbe costituire una razza a sé. Per superare queste difficoltà, gli antropologi decidono di scegliere un gruppo di caratteri somatici e di dividere gli individui in base ad essi. Per esempio si può decidere di considerare la statura, la forma del volto, la forma del cranio, l'angolo facciale, il colore della pelle, la forma dei capelli, la pelosità e stabilire, per esempio, che gli individui che hanno lo stesso colore della pelle, sono poco pelosi, hanno la faccia della stessa forma, hanno capelli lisci, il cranio di un certo tipo e così via, appartengono ad una razza. Se la forma del cranio è allungata, si dirà che un individuo è dolicocefalo (dal greco dolikhós = «lungo» e kephalé = «testa»), se è rotondeggiante, si dirà che è brachicefalo (dal greco brakhys = «breve»)- l'angolo facciale è l'angolo formato dal piano della faccia con la mandibola. Se questo angolo è retto, si dice che l'individuo è ortognato (dal greco orthós = «retto» e gnáthos = «mascella»), se è molto acuto si dice che è prognato (dal greco gnáthos = «mascella» col prefisso pro- «dalle mascelle in avanti»). |
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